Rossella Casini
Rossella Casini nasce a Firenze il 29 maggio del 1956. Suo padre, Loredano, è un dipendente della Fiat e la madre, Clara, sta a casa e si prende cura della famiglia e della loro unica figlia. E’ bella Rossella, un viso dolce e uno sguardo che penetra, che cerca di leggere chi ha davanti a sé. Dopo la maturità all’istituto Magistrale “Capponi” di Firenze, Rossella decide di continuare gli studi e si iscrivere all’Università di Firenze, scegliendo il corso di laurea in psicologia.
Santa Buccafusca era nata a Nicotera Marina, in provincia di Vibo Valentia, il 7 febbraio del 1974. La sua era una famiglia umile e onesta, la cui unica fonte di sostentamento era il mare. Un contesto difficile quello di Nicotera, condizionato da una presenza asfissiante della ‘ndrangheta. Qui, in questo lembo di terra affacciato sul mare, alcune delle più potenti famiglie di mafia calabresi esercitavano un dominio incontrastato. Conobbe Pantaleone Mancuso, alias Luni Scarpuni, aveva di fronte a sé una strada spianata e un futuro già segnato, che, nel giro di pochi anni, lo avrebbe portato a diventare uno dei più influenti capimafia della ‘ndrangheta calabrese.
Maria Chindamo è una ragazza calabrese, di Laureana di Borrello, dai grandi occhi castani, sguardo sereno e un sorriso dolce sempre accennato sul viso. Si sposa con Ferdinando Punturiero e dal loro amore nasceranno tre figli: Vincenzino, Federica e Letizia. E' con lui che si trasferisce a vivere a Rosarno. Ma le cose tra i due non vanno bene e Maria prende una decisione: vuole la separazione. Una scelta libera che in quella terra di Calabria appare come un’onta o un disonore. Maria però è decisa, vuole che i suoi figli crescano in una famiglia serena, piena di amore. Il 6 maggio 2015, però, Ferdinando si toglie la vita e la sua famiglia ipotizza che il gesto estremo sia scaturito dalla separazione con Maria. Lei si trova con gli occhi del paese puntati addosso, viene criticata, ma non si dà per vinta. È una mamma premurosa, attenta, dolce. Ogni sua scelta è orientata dall’amore per i suoi tre figli. Per loro conto, amministra l'azienda agricola ereditata dai nonni, genitori del suo ex marito. Per loro sorride sempre, nonostante le avversità, nonostante la fatica e la difficoltà di trovarsi a gestire un’azienda tutta da sola. Una donna sola, in una terra in cui la presenza della ‘ndrangheta cerca di soffocare l’intraprendenza delle donne, considerate “cose di famiglia”, le scelte di Maria suscitano spesso scalpore.
Papillon. Si chiamava così, con questo nome un po’ strano, quel negozio di gioielli, pellicce e abiti da sposa che la famiglia Frazzetto - Azzolina aveva aperto da qualche anno in via Terracina, a Niscemi, in provincia di Caltanissetta. In terra di mafia però la libertà d’impresa a volte può essere davvero un’utopia. E anzi, più le cose vanno bene, più ti devi aspettare che, da un momento all’altro, qualcuno venga a bussare alla porta del tuo negozio. E non solo per chiederti soldi. Perché le estorsioni si possono anche mascherare, pretendendo per esempio di portare via la merce senza pagare. A Salvatore e Agata era accaduto proprio questo. Loro però avevano sempre resistito, non si erano mai davvero piegati a quella che appariva una cosa normale a Niscemi, dove in tanti non nascondevano, neanche per pudore, quella prassi, quella assurda consuetudine. Loro no, non volevano accettarlo. Il 16 ottobre del 1996 è una data centrale nella storia di questa famiglia, e, in particolare, nella storia di Agata. È la data che cambia il destino di questa donna, che le stravolge l’esistenza, le toglie il sorriso, l’allegria, la forza. Tutti tratti tipici della sua personalità.
Angela Costantino aveva bruciato le tappe. Si era sposata giovanissima, ad appena 16 anni. Quando di anni ne aveva compiuti 25, aveva già messo al mondo quattro figli. A vederla nell’unica foto che ne rimane, sembra davvero una ragazzina questa donna. Un velo di tristezza per una vita che non era stata esattamente quella che aveva sognato quando si era innamorata di Pietro. A lui si era concessa ancora ragazzina e probabilmente non avrebbe mai immaginato che, solo pochi anni dopo e ancora così piccola, sarebbe diventata una vedova bianca di ‘ndrangheta. Bianca, sì, perché suo marito era vivo, ma rinchiuso dietro le sbarre del carcere di Palmi, dove doveva scontare molti anni. Perché Pietro non era uno qualunque e la sua storia era nel suo stesso cognome: Lo Giudice. Tredici fratelli, figli del capobastone Giuseppe Lo Giudice, freddato in un agguato il 14 giugno 1990 ad Acilia. La mattina del 16 marzo 1994 Angela si sveglia all’alba. Ha in programma di fare visita a suo marito in carcere. È il suo ultimo giorno di vita. Da quel momento, di lei non si saprà più nulla per diciotto lunghissimi anni. A casa non c’è, i fornelli accesi e i quattro figli da soli che piangono. Roberta Lanzino frequenta l'Università della Calabria che ha sede proprio nella sua città, Rende, in provincia di Cosenza. Il 26 luglio del 1988 Roberta Lanzino ha 19 anni e sta percorrendo una strada secondaria per raggiungere la casa al mare dei suoi genitori, quando una Fiat 131 la affianca. Viaggia sul suo Si Piaggio che verrà ritrovato intatto poche ore dopo. Roberta viene ritrovata all'alba del giorno dopo in mezzo ai campi. È stata seviziata, violentata e uccisa. Ci vuole la confessione di un pentito per dare un nome ai due assassini, nel 2007. Uno è già morto, un anno dopo l'omicidio di Roberta, ucciso dal suo stesso complice per paura che parlasse: si chiama Luigi Carbone. L'altro è Francesco Sansone, uomo legato alla 'ndrangheta che lo ha aiutato a tenere nascosta questa storia per tutti questi anni. Venne ammazzata il 20 settembre 2010 nella sua auto, mentre guidava in via Ponte dei Francesi, tra i cavalcavia e le ciminiere delle fabbriche. Due moto l'hanno affiancata e chi vi era sopra le ha sparato quattro colpi calibro 9. Teresa Buonocore è morta subito e la sua auto è andata a sbattere sul muro di cemento al lato della strada. La polizia ha arrestato quattro persone sospettate e segue l'ipotesi che Teresa Buonocore sia stata uccisa per vendetta rispetto a quella sua denuncia per violenza sulla figlia. Teresa Buonocore lavorava come segretaria in uno studio legale e aveva lavorato prima per tredici anni in un'agenzia di viaggi. Aveva due figli grandi da un primo matrimonio e due bambine più piccole dal secondo compagno. Aveva denunciato e fatto arrestare Enrico Perillo, rapitore e violentatore della figlia di otto anni. Patrizia Scifo nasce a Niscemi. È figlia di Vittorio Scifo, il famoso “Mago di Tobruk”, un personaggio notissimo in Italia e all’estero, protagonista delle cronache mondane. Sono questi gli anni della “Dolce Vita”, e Vittorio, per seguire le sue attività che vanno a gonfie vele, vive tra Roma e Parigi. Appena può torna a Niscemi, dove sua moglie Angela gestisce un bar, situato sulla piazza principale del paese. Patrizia cresce così con sua mamma Angela e sua sorella Amalia. Patrizia, appena 17enne, si innamorata di Giuseppe, un ragazzo di 11 anni più grande di lei. È un ragazzo affascinante Giuseppe, alto, moro, dai modi gentili, ma è sposato e non è un uomo qualunque. Il suo cognome è Spatola, affiliato a una delle due cosche mafiose locali, impegnate in una faida per il controllo degli appalti pubblici. I genitori di Patrizia non approvano questo amore e provano a ostacolare il loro rapporto. Giuseppe però riesce a far perdere la testa a Patrizia e un giorno i due scappano insieme. Ben presto però i rapporti nella coppia si guastano e cominciano i pesanti maltrattamenti che porteranno lei a decidere di presentare denuncia. Maria Concetta Cacciola nasce in una famiglia di mafia il 30 settembre del 1980. Suo padre, Michele Cacciola, è il cognato del boss di Rosarno, Gregorio Bellocco. Siamo nel cuore della Piana di Gioia Tauro, terra di Calabria asfissiata dalla presenza criminale. La mamma di Concetta, Anna Rosalba Lazzaro è completamente immersa in quella cultura e così anche suo figlio, il fratello di Maria Concetta, Giuseppe. La ragazza cresce troppo in fretta e a 13 anni si ritrova già sposa di Salvatore Figliuzzi, che nel 2002 sarebbe finito in carcere perché affiliato al clan Bellocco. Insomma, attorno a lei tutto è mafia. Ben presto, la vita di Maria Concetta comincia a sprofondare verso un inferno di violenza, paura, sopraffazione, crudeltà. Il marito è violento con lei, fino al punto di puntarle una pistola alla fronte, al culmine dell’ennesimo violento litigio. Nel 2002 l’uomo finisce in carcere. Maria Concetta si libera di quell’amore sbagliato ma la sua famiglia, suo padre e suo fratello, riescono a fare anche di peggio. La rinchiudono in casa, segregata e isolata, lontano da qualsiasi contatto con il mondo esterno, ancor più perché sopraffatti dal sospetto di una relazione extraconiugale. Marcella Di Levrano, seconda di tre sorelle, nasce a Mesagne il 18 aprile del 1964. Nel 1968 sua mamma Marisa sceglie di abbandonare il marito violento e di trasferirsi con le sue tre bambine a Torchiarolo, facendo di tutto per regalargli un futuro sereno e felice. lle scuole medie Marcella è la prima della classe, poi sceglie di frequentare l’istituto magistrale a Brindisi, proprio in quegli anni in cui la città diventa una piazza importante di spaccio di droga e criminalità organizzata. Marcella, una ragazza così solare e intelligente ma profondamente fragile, cresciuta senza suo papà, da quel momento non sarà più la stessa; quel sorriso diventa sempre più raro da vedere sul suo bel volto, diventa scontrosa anche in famiglia, fino a quando, al secondo anno, una sera non fa ritorno a casa. La ritroveranno due giorni dopo, drogata. Iniziano così degli anni travagliati: per procurarsi le sue dosi comincia a frequentare personaggi pericolosi e senza scrupoli, giovani e ambiziosi boss della Sacra Corona Unita, che muoveva i suoi primi sanguinosi passi. Silvana Foglietta è nata a Foggia il 6 gennaio del 1956. Dopo l'omicidio di suo marito, boss della SCU, inizia a raccontare ad alcuni magistrati ciò che sapeva: vuole a tutti i costi che gli assassini del suo compagno vengano individuati. Il 7 febbraio del 1991, Silvana esce dalla loro casa di Ostuni intorno alle 16.30 per andare ad aprire un negozio, attività che aveva avviato per mantenere i cinque figli. Come ogni giorno, prima di uscire avverte i suoi ragazzi che se non fosse tornata, avrebbero dovuto rivolgersi alle forze dell'ordine. Da quel momento di lei si perdono le tracce e il suo corpo non fu mai ritrovato. È una storia intricata quella di Barbara Corvi. Una storia su cui, dopo molti anni e nonostante il lavoro degli investigatori e i continui appelli dei familiari, ancora non si è riusciti a fare piena luce. È la storia di una donna di 35 anni, sposata e madre di due figli maschi - Salvatore e Giuseppe - che all’epoca dei fatti avevano 19 e 15 anni. Lo Giudice era il cognome di suo marito e, per chi mastichi un po’ di storia criminale, quello non era affatto un cognome come un altro. La ‘ndrina dei Lo Giudice dominava il rione Santa Caterina di Reggio Calabria e negli anni era stata tra le principiali protagoniste della sanguinosa seconda guerra di ‘ndrangheta, scoppiata tra il 1985 e il 1991. I giorni cruciali in cui si consuma il mistero della scomparsa di Barbara sono quelli sul finire del mese di ottobre del 2009. Anna Nocera nasce a Palermo nel 1861, da una famiglia di umili origini. In quegli anni, il Ministro dell’Interno è un ex garibaldino, Giovanni Nicotera, che invia a Palermo il Prefetto Antonio Malusardi per condurre una campagna contro il banditismo e per stanare organizzazioni di tipo mafioso, di cui fanno parte banditi, possidenti, notabili, professionisti e, persino, sacerdoti. Ancora giovane inizia a fare la domestica e, dopo le prime esperienze, trova lavoro a servizio della famiglia Amoroso. Anna non sa che quella è una famiglia mafiosa, quella di Porta Montalto. Svolge il suo lavoro con dedizione e impegno, ma ben presto Leonardo Amoroso, uno dei figli dei suoi padroni, inizia a corteggiarla e a farle delle avances. Anna, ragazza graziosa e dai modi gentili, timida e riservata, rifiuta e un po' spaventata dai modi bruschi con cui Leonardo insiste, decide di smettere di lavorare presso quella famiglia per evitare rischi. Purtroppo, considerate le condizioni di estrema povertà della sua famiglia, è costretta a tornare sui suoi passi e a chiedere alla famiglia Amoroso di riprenderla a lavorare presso di loro. Le avances non finiranno e anzi sarà costretta a cedere e, dopo poco tempo, resterà incinta, all’età di 17 anni. La famiglia di Anna conoscerà così l’onta del disonore, ma il timore che incute il nome degli Amoroso li costringe a chiudersi in un umiliante silenzio. Anna prova a chiede a Leonardo di rimediare con un matrimonio riparatore ma lui non vuole sentire ragioni e, scocciato dalle richieste di Anna decide di risolvere il problema a modo suo. Il 22 ottobre del 1971 tre bambine spariscono a Marsala. Si tratta di Antonella Valenti, undici anni, Virginia e Ninfa Marchese, nove e sette anni. Con la denuncia della loro scomparsa si apre uno dei casi di cronaca nera più inquietanti della storia del dopoguerra, conosciuto anche come "il caso del mostro di Marsala". Il giudice Cesare Terranova emette il mandato d'arresto per Michele Vinci, zio di Antonella, che durante l'interrogatorio confessa di aver rapito le bambine per stuprare una di loro e di aver gettato Ninfa e Virginia in una cava all'interno di un terreno di proprietà di Giuseppe Guarrato, dove effettivamente verranno ritrovate il 9 novembre. Durante il processo, tuttavia, emergono parecchi dubbi sulle dichiarazioni fatte da Vinci, e si profila la possibilità che abbia avuto uno o più complici. Antonella sarebbe stata rapita e uccisa perché suo padre, Leonardo Valenti, aveva fatto uno sgarro a Cosa nostra. Lo stesso Paolo Borsellino riaprirà le indagini nel 1989, archiviate per mancanza di prove. Cristina Mazzotti nasce il 24 giugno del 1957. È il 30 giugno 1975, Cristina ha da pochi giorni compiuto 18 anni e quella sera ha deciso di festeggiare la maggiore età e la sua promozione. In quei giorni è in vacanza a Eupilio, piccolo comune in provincia di Como che sorge sulle pendici del monte Cornizzolo. Per la sua festa ha invitato alcuni amici e compagni di scuola. La serata trascorre in allegria, Cristina è felice, si balla, si scherza. Alla fine della serata Cristina è raggiante, come sempre, con quel gran sorriso che le illumina il volto. Sale in macchina, una Mini Minor, con due amici, Carlo ed Emanuela, per tornare a casa. Sono quasi arrivati alla villa della famiglia di Cristina quando, in pochi secondi la gioia e la spensieratezza di quella bella serata lasceranno il posto all’angoscia e alla paura. Mina li conosceva i suoi assassini. E li conosceva perché condivideva con loro lo spazio del quartiere, come accade normalmente a chi nasce e cresce in terra di camorra. Lei aveva fatto scelte diverse, totalmente opposte a quelle dei suoi assassini. Si era anche innamorata di uno di loro. Si chiamava Gennaro e lei, appena ventenne, se n’era invaghita. Poi però aveva scelto di lasciarlo, perché pure lui aveva preso quella strada. E quella strada, a Gelsomina, proprio non piaceva. Ed è proprio quella relazione fugace, finita peraltro molto tempo prima, a essere stata la condanna a morte per questa ragazza solare, affabile, impegnata nel sociale. Graziella Campagna nasce a Saponara, un piccolo paese sulle pendici dei Monti Peloritani, in provincia di Messina, il 3 luglio del 1968. Ancora molto giovane abbandona gli studi per poter aiutare economicamente la sua famiglia. Trova quasi subito lavoro come aiuto lavandaia in una città vicina, Villafranca Tirrena. È un impiego in nero che le consente di guadagnare solo 150 mila lire al mese, ma quella cifra, seppur bassa, le è utile per contribuire alle spese di casa e aiutare i suoi genitori. Così accetta. Le giornate trascorrono scandite dalle ordinarie abitudini fatte di lavoro e famiglia; Graziella si è ambientata in quella lavanderia, ha imparato subito a sbrigare le mansioni che le vengono affidate, è brava e si fa voler bene da tutte le sue colleghe. Ma questa normalità sarà stravolta in quello che sembra essere un giorno qualunque. Luigia Esposito, 27 anni, fu massacrata senza pietà il pomeriggio del 16 novembre 1996, nelle campagne di Sant'Anastasia, in provincia di Napoli. La sua era stata una vita difficile: tossicodipendente, aveva vissuta un'esistenza ai margini della società. La sua morte fu decisa dal boss della zona in persona. La ragazza, infatti, aveva assistito, pochi giorni prima, all'esecuzione di Ciro Rispoli, un suo amico assassinato nell'ambito di una faida tra clan di camorra, diventato una testimone scomoda da eliminare. Un suo amico vicino al clan e successivamente divenuto collaboratore di giustizia, spinto dai rimorsi, tentò di dissuadere il boss, che però resto inamovibile: la ragazza andava uccisa. Luigia fu raggiunta da due killer armati di pistola. Luisa Fantasia nasce il 12 aprile del 1943 a San Severo, paese della provincia di Foggia, situato nell’alto Tavoliere. Presto conosce Antonio Mascione, brigadiere dei carabinieri, di cui si innamora. Dopo essersi sposati, Luisa e Antonio vanno a vivere a Milano, dove Antonio lavora. È assegnato al reparto operativo del comando provinciale di Milano, con l’incarico di indagare sulle Brigate Rosse. Dal loro amore presto nasce Cinzia, che Luisa cresce in un piccolo appartamento popolare ai confini del quartiere Baggio di Milano. Il marito di Luisa è un agente sotto copertura. In questi anni riesce ad agganciare due criminali legati a una 'ndrina calabrese, inseriti nel mondo che gestisce il traffico di stupefacenti: Abramo Leone, di 17 anni, e Biagio Jaquinta, di 22 anni. Tramite loro, il brigadiere sta per scoprire chi c’è dietro allo spaccio sull’asse Calabria-Lombardia. È il 14 giugno del 1975 quando con una scusa Abramo e Biagio riescono a fissare un secondo appuntamento con Antonio. Ma all’appuntamento non si presenteranno. Mariangela venne rapita mentre trascorreva le vacanze in Calabria con suo marito. Aveva 44 anni ed era madre di due figlie. Il suo corpo non fu mai trovato. Quella terribile storia di abusi e violenze sessuali su bambini di 6 e 7 anni aveva sconvolto Torre Annunziata. Una storia turpe, fatta di indicibili silenzi e oscure complicità, consumata nei sottoscala di una scuola elementare ai danni di vittime indifese, cui era stata rubata l’infanzia. Quando era venuta fuori, nel 1997, era stato un terremoto. A maggior ragione perché, a farla venire fuori, erano state le denunce coraggiose di tre mamme. Una di loro si chiamava Matilde Sorrentino. Suo figlio minore, Salvatore - che all’epoca dei fatti aveva appena 7 anni - era stato uno dei bambini abusati dalla banda di pedofili. Lei aveva voluto giustizia per quella violenza. E l’aveva ottenuta. Sette anni più tardi, avrebbe pagato con la vita il suo coraggio. Raffaella Scordo era una professoressa di 39 anni. Il 13 luglio del 1990 ad Ardore (RC) provarono a rapirla. Il sequestro non riuscì e la donna venne uccisa a colpi di martello dai suoi rapitori. Renata nasce a Nardò, in provincia di Lecce, il 10 marzo del 1951, trascorre la sua fanciullezza e adolescenza tra la Puglia e l’Abruzzo a causa della separazione dei genitori. Frequenta poi il liceo classico di Nardò ed è proprio in quegli anni conoscerà Attilio Matrangola, un giovane di 22 anni, sottufficiale dell’Aeronautica, che ben presto diventerà suo marito. La giovane coppia è costretta a cambiare spesso città a causa degli incarichi di lavoro di Attilio e a un anno dal matrimonio conosce l’enorme gioia di diventare genitori, gioia che sarà ancora più grande con l’arrivo della secondogenita qualche anno più tardi. Renata sogna di tornare nella sua terra d’origine, ma sacrifica questo desiderio per tenere unita la sua bella famiglia, circondata dall’amore e dal calore che le donano costantemente. Finalmente nel 1980, il marito viene trasferito all’aeroporto di Brindisi e lei vede realizzarsi il sogno di avvicinarsi alla sua terra natìa. Inizia così a insegnare nella scuola elementare di Nardò e studia lingue e letterature straniere nell’ateneo leccese, ma è sempre in quegli anni che, forte degli insegnamenti di Pantaleo Inguisci, avvocato, storico e antifascista, comincia a impegnarsi attivamente nella vita politica della città, militando nel Partito Repubblicano Italiano, tanto da diventarne poi Segretario cittadino. Era una donna che tutelava i diritti delle donne, era iscritta all’Unione Donne Italiane e seguiva le attività del Consultorio locale. Salvatora Tieni e Nicola Guerriero cercavano la verità sul figlio Romolo, autista di Cosimo Persano, scomparso nel nulla col suo datore di lavoro il 29 maggio 1990. La scomparsa fu ricondotta alla faida allora in corso tra i Bruno e i Persano per i possedimenti agricoli nel paese di Torre Santa Susanna, in provincia di Brindisi. I coniugi decisero di testimoniare contro i Bruno, ritenendoli responsabili della morte del figlio. 11 novembre 1981. Quel giorno di quaranta anni fa comincia la storia di Palmina Martinelli. Una storia triste e amara andata in scena a Fasano, in una casa abbrutita dal degrado e dalla miseria, dove la 14enne viveva con la famiglia. Un padre disoccupato e una mamma domestica con il vizio di bere troppo, dieci fratelli, la violenza all’ordine del giorno. Petilia Policastro è un paesone di quasi 9000 abitanti a una cinquantina di chilometri da Crotone. Paese di montagna, per lo più. Paesaggio aspro, tipico della Calabria interna. Lea Garofalo nacque qui, a Petilia, il 24 aprile del 1974, da Antonio Garofalo e da Santina Miletta. Suo padre però Lea non lo ha mai veramente conosciuto. Fu ucciso quando lei aveva appena 9 mesi di vita, nella cosiddetta “faida di Pagliarelle”, una guerra di ‘ndrangheta senza esclusione di colpi scoppiata agli inizi degli anni ’70. Ne avrebbe parlato proprio lei, anni più tardi, di quella faida, come sempre facendo nomi e cognomi. a sua vita si era già incrociata con quella di Carlo Cosco, altra famiglia di mafia. Lei se n’era innamorata appena diciassettenne e con lui si era trasferita a Milano. E quell’amore - per lei sicuramente sincero, per lui forse più utile alle logiche mafiose - le aveva regalato l’unica vera gioia della sua vita: Denise, sua figlia. E fu probabilmente la maternità a farle decidere, in quel maggio del ’96 che vide l’arresto con suo fratello anche del suo compagno, di interrompere quella storia e di lasciare Milano con Denise. Inizia da qui l’odissea di Lea e di sua figlia.
Tita Buccafusca
Maria Chindamo
Agata Azzolina
Angela Costantino
Roberta Lanzino
Teresa Buonocore
Patrizia Scifo
Maria Concetta Cacciola
Marcella Di Levrano
Silvana Foglietta
Barbara Corvi
Anna Nocera
Antonella Valenti, Ninfa Marchese e Virginia Marchese
Cristina Mazzotti
Gelsomina Verde
Graziella Campagna
Luigia Esposito
Luisa Fantasia
Mariangela Passiatore
Matilde Sorrentino
Raffaella Scordo
Renata Fonte
Salvatora Tieni
Palmina Martinelli
Lea Garofalo