Petilia Policastro è un paesone di quasi 9000 abitanti a una cinquantina di chilometri da Crotone. Paese di montagna, per lo più. Paesaggio aspro, tipico della Calabria interna. Lea Garofalo nacque qui, a Petilia, il 24 aprile del 1974, da Antonio Garofalo e da Santina Miletta. Suo padre però Lea non lo ha mai veramente conosciuto. Fu ucciso quando lei aveva appena 9 mesi di vita, nella cosiddetta “faida di Pagliarelle”, una guerra di ‘ndrangheta senza esclusione di colpi scoppiata agli inizi degli anni ’70. Ne avrebbe parlato proprio lei, anni più tardi, di quella faida, come sempre facendo nomi e cognomi. a sua vita si era già incrociata con quella di Carlo Cosco, altra famiglia di mafia. Lei se n’era innamorata appena diciassettenne e con lui si era trasferita a Milano. E quell’amore - per lei sicuramente sincero, per lui forse più utile alle logiche mafiose - le aveva regalato l’unica vera gioia della sua vita: Denise, sua figlia. E fu probabilmente la maternità a farle decidere, in quel maggio del ’96 che vide l’arresto con suo fratello anche del suo compagno, di interrompere quella storia e di lasciare Milano con Denise. Inizia da qui l’odissea di Lea e di sua figlia. Nel 2002 Lea si sente in pericolo. Alcuni episodi le fanno capire che non è al sicuro e si convince a rivolgersi ai Carabinieri, ai quali comincia a raccontare tutto quello che sa: intrecci, complicità, affari sporchi. Madre e figlia entrano nel programma di protezione e si trasferiscono a Campobasso. Sono anni difficili, durante i quali continua a essere considerata non una testimone di giustizia ma una collaboratrice, una pentita. Lea ne soffre e ne soffrirà a lungo. Una sofferenza resa ancor più dura da superare quando, nel 2006, le viene revocata la protezione. Ma Lea non ci sta. Ricorre invano al TAR e poi, questa volta con successo, al Consiglio di Stato. Così, nel 2007, viene riammessa nel programma di protezione, ma ancora come collaboratrice di giustizia e non come testimone. La sua relazione con questa condizione di vita però continua a essere tormentata. E così due anni più tardi, nel 2009, decide volontariamente di lasciare il programma e di riprendere i rapporti con la sua terra d’origine, pur continuando a vivere a Campobasso. I Cosco però non perdonano. Nonostante i lunghi anni trascorsi, sono ancora sulle sue tracce e sono intenzionati a vendicarsi. Il suo ex compagno incarica un suo sodale, Massimo Sabatino, di rapirla e ucciderla. Ma il piano fallisce. Lea si sente sempre più a rischio e pochi giorni dopo lo scampato pericolo scrive una lunga lettera al Presidente della Repubblica, nella quale mette nero su bianco tutto il suo dolore e la sua sofferenza. Il 20 novembre arriva con Denise nel capoluogo lombardo. Trascorrono alcuni giorni, che servono a Cosco per convincere Lea che può fidarsi di lui, che è sinceramente interessato al futuro di Denise. Nel pomeriggio del 24 novembre Carlo fa in modo di separare madre e figlia e conduce Lea in un appartamento che si era fatto prestare per portare a compimento il suo piano di morte. In quella casa di Piazza Prealpi, Lea viene uccisa intorno alle 19.00. Ma il padre di Denise non si accontenta di averla assassinata. Affida il cadavere a tre dei suoi uomini – Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino – perché lo trasportino a Monza, dove, su un terreno di San Fruttuoso, il corpo viene dato alle fiamme insieme a 50 litri di acido e lasciato bruciare per quasi tre giorni, perché non ne rimanesse traccia.
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